
Il segreto della longevità potrebbe nascondersi nei geni che riparano il Dna
Efficienti meccanismi di riparazione del Dna e la presenza di un basso numero di mutazioni somatiche in geni specifici sono due elementi chiave nel proteggere le persone estremamente longeve dalle malattie legate all’età. A indicarlo uno studio dell’Università di Bologna.
Si vive più a lungo se si ha un background genetico che rende più efficienti i meccanismi di riparazione del Dna, in grado di rallentare l’accumularsi di errori genetici, ritardando l’invecchiamento delle cellule del corpo. È quanto emerso da uno studio italiano coordinato da Claudio Franceschi dell’Università di Bologna, che ha sequenziato il genoma di un campione composto da ultracentenari. I risultati dell’analisi, pubblicati sulle pagine della rivista specializzata eLife, suggeriscono che efficienti meccanismi di riparazione del Dna e la presenza di un basso numero di mutazioni somatiche in geni specifici sono due elementi chiave nel proteggere le persone estremamente longeve dalle malattie legate all’età.
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Per compiere lo studio, il team di ricerca ha analizzato il genoma di 81 semi-supercentenari e supercentenari (oltre 105 e 110 anni di età) provenienti da tutta Italia. Confrontando le loro caratteristiche genetiche con un gruppo di controllo composto da 36 persone adulte sane e con i dati di precedenti ricerche di settore, è emerso che i soggetti con un’età pari o superiore ai 105 anni tendono ad avere formidabili meccanismi di riparazione del Dna. Nello specifico, i ricercatori sono riusciti a identificare cinque variazioni genetiche presenti con maggiore frequenza tra gli over 105, correlate a una maggior attivazione di due geni: STK17A nel cuore, nei polmoni, nel sistema nervoso e nella tiroide, e COA1, un gene che regola un processo chiave nell’invecchiamento. Come spiegato dagli autori sul portale dell’ateneo, STK17A è coinvolto in tre importanti funzioni fondamentali per la salute delle cellule e dell’organismo: “Il coordinamento della risposta in caso di danno al Dna, la spinta verso la morte cellulare programmata per le cellule danneggiate e il controllo di specie reattive dell’ossigeno (ROS), la più diffusa tipologia di radicali liberi”.
Altri risultati
Dall’analisi è inoltre emerso che gli over 105 hanno generalmente un numero di mutazioni genetiche somatiche inferiore rispetto a quanto atteso. Ciò significa che sono in grado di limitare l’aumento di mutazioni dannose solitamente collegato all’avanzare dell’età e a stati patologici.
“Alcuni studi realizzati in passato avevano già messo in luce che per diverse specie animali la capacità di riparazione del DNA è uno dei meccanismi che favoriscono la longevità: con questa nuova ricerca abbiamo dimostrato che ciò è vero anche per gli esseri umani”, ha spiegato Cristina Giuliani, ricercatrice del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna. “I dati ottenuti suggeriscono che le caratteristiche che permettono ad alcune persone di diventare semi-supercentenarie ed oltre sono in parte legate ad una particolare variabilità genetica, grazie alla quale è possibile gestire in modo più efficiente i processi di riparazione del Dna”.